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AIDS 2014

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silence®
view post Posted on 23/7/2014, 11:21     +1   -1




Si apre a Melbourne la XX Conferenza Internazionale sull’AIDS

L’apertura della XX Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2014) a Melbourne, in Australia, è stata funestata dalla notizia delle 298 persone che hanno perso la vita sul volo MH17 della Malaysia Airlines. Nel disastro sono rimasti uccisi anche sei delegati in viaggio verso Melbourne per la Conferenza, tra cui il professor Joep Lange, ex presidente dell’International AIDS Society.I presenti si sono raccolti in un minuto di silenzio per ricordare tutte le vittime del disastro aereo. Oltre al professor Lange, a bordo del volo c’erano anche: Pim de Kuijer, lobbista della fondazione Aids Fonds/STOP AIDS NOW; Lucie van Mens della Female Health Company; Martine de Schutter, program manager di Aids Fonds/STOP AIDS NOW; Glenn Thomas dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; e Jacqueline van Tongeren dell’Amsterdam Institute for Global Health and Development (e compagna di Joep Lange).La prof. Françoise Barré-Sinoussi, attuale presidente dell’International AIDS Society, ha detto ai delegati: “La scomparsa dei nostri amici e colleghi è una perdita di portata tale che ancora non riesco a comprenderla o esprimerla”.Numerosi sono stati i tributi dedicati al professor Lange, e in tutti è stato sottolineato il suo prezioso contributo come paladino dell’accesso equo alle terapie antiretrovirali.Il professor Lange è stato un pioniere della ricerca sull’HIV, tra i primi scienziati a sostenere quella triplice terapia che sarebbe diventata lo standard terapeutico per l’HIV – la somministrazione combinata di tre diversi antiretrovirali di classi farmacologiche differenti, mirata ad ottenere una soppressione virale a lungo termine.Joep Lange “ci ha sempre detto di restare concentrati sull’obiettivo e continuare a lottare per porre fine alla pandemia di AIDS”, ha ricordato in un video-comunicato Anthony Fauci, direttore dell'Istituto Nazionale per le allergie e le malattie infettive (NIAID) dei National Institutes of Health statunitensi.Non c’è dubbio che il professor Lange sarebbe stato un fervente sostenitore dell’obiettivo prefissato da UNAIDS di porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030.A questo proposito, in un incontro satellite tenuto da UNAIDS è stato sottolineato come, per raggiungere questo obiettivo, sarà necessaria una significativa intensificazione delle attuali risposte all’epidemia. Nello specifico: diagnosticare il 90% delle infezioni, far entrare in terapia il 90% dei pazienti con infezione diagnosticata e abbattere la carica virale nel 90% dei pazienti in terapia entro il 2020. Al momento, solo il 37% dei pazienti HIV-positivi riceve il trattamento antiretrovirale, ma è un dato che può variare notevolmente da contesto a contesto.Il tema di AIDS 2014 è ‘Stepping up the Pace’, ‘accelerare il ritmo’. È l’appello degli attivisti presenti alla Conferenza: che tutti i pazienti possano raggiungere una carica virale non rilevabileentro il 2020, ma anche che vengano interamente finanziati sia i programmi di monitoraggio dellacarica virale che le terapie anti-HIV.Nel corso della Conferenza, rilevanza sarà data anche alle popolazioni chiave, spesso vittime distigma, discriminazione e criminalizzazione: uomini che fanno sesso con altri uomini, sex workers,consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva e donne transgender.

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Lunedì 21 luglio 2014

Contenuti

Si apre a Melbourne la XX Conferenza Internazionale sull’AIDS'Accelerare il ritmo': AIDS 2014Crisi economica associata con un aumento delle infezioni da HIV tra i consumatori di stupefacenti per via iniettiva in EuropaTrattamento dei pazienti HIV-positivi con co-infezione da HCVCirconcisioneTubercolosi, forse possibile accorciare i tempi del trattamentoApplicazioni gratuite per smartphoneSostieni NAM

Si apre a Melbourne la XX Conferenza Internazionale sull’AIDS

L’omaggio alle vittime del disastro aereo della Malaysia Airlines, durante la sessione di apertura. Foto: International AIDS Society/Steve ForrestL’apertura della XX Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2014) a Melbourne, in Australia, è stata funestata dalla notizia delle 298 persone che hanno perso la vita sul volo MH17 della Malaysia Airlines. Nel disastro sono rimasti uccisi anche sei delegati in viaggio verso Melbourne per la Conferenza, tra cui il professor Joep Lange, ex presidente dell’International AIDS Society.I presenti si sono raccolti in un minuto di silenzio per ricordare tutte le vittime del disastro aereo. Oltre al professor Lange, a bordo del volo c’erano anche: Pim de Kuijer, lobbista della fondazione Aids Fonds/STOP AIDS NOW; Lucie van Mens della Female Health Company; Martine de Schutter, program manager di Aids Fonds/STOP AIDS NOW; Glenn Thomas dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; e Jacqueline van Tongeren dell’Amsterdam Institute for Global Health and Development (e compagna di Joep Lange).La prof. Françoise Barré-Sinoussi, attuale presidente dell’International AIDS Society, ha detto ai delegati: “La scomparsa dei nostri amici e colleghi è una perdita di portata tale che ancora non riesco a comprenderla o esprimerla”.Numerosi sono stati i tributi dedicati al professor Lange, e in tutti è stato sottolineato il suo prezioso contributo come paladino dell’accesso equo alle terapie antiretrovirali.Il professor Lange è stato un pioniere della ricerca sull’HIV, tra i primi scienziati a sostenere quella triplice terapia che sarebbe diventata lo standard terapeutico per l’HIV – la somministrazione combinata di tre diversi antiretrovirali di classi farmacologiche differenti, mirata ad ottenere una soppressione virale a lungo termine.Joep Lange “ci ha sempre detto di restare concentrati sull’obiettivo e continuare a lottare per porre fine alla pandemia di AIDS”, ha ricordato in un video-comunicato Anthony Fauci, direttore dell'Istituto Nazionale per le allergie e le malattie infettive (NIAID) dei National Institutes of Health statunitensi.Non c’è dubbio che il professor Lange sarebbe stato un fervente sostenitore dell’obiettivo prefissato da UNAIDS di porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030.A questo proposito, in un incontro satellite tenuto da UNAIDS è stato sottolineato come, per raggiungere questo obiettivo, sarà necessaria una significativa intensificazione delle attuali risposte all’epidemia. Nello specifico: diagnosticare il 90% delle infezioni, far entrare in terapia il 90% dei pazienti con infezione diagnosticata e abbattere la carica virale nel 90% dei pazienti in terapia entro il 2020. Al momento, solo il 37% dei pazienti HIV-positivi riceve il trattamento antiretrovirale, ma è un dato che può variare notevolmente da contesto a contesto.Il tema di AIDS 2014 è ‘Stepping up the Pace’, ‘accelerare il ritmo’. È l’appello degli attivisti presenti alla Conferenza: che tutti i pazienti possano raggiungere una carica virale non rilevabileentro il 2020, ma anche che vengano interamente finanziati sia i programmi di monitoraggio dellacarica virale che le terapie anti-HIV.Nel corso della Conferenza, rilevanza sarà data anche alle popolazioni chiave, spesso vittime distigma, discriminazione e criminalizzazione: uomini che fanno sesso con altri uomini, sex workers,consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva e donne transgender.

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Resoconto della cerimonia di apertura della Conferenza su aidsmap.comVideo della sessione di apertura della Conferenza su YouTube

'Accelerare il ritmo': AIDS 2014


Per tenere sotto controllo l’HIV a livello globale è necessario tornare a concentrarsi sulle popolazioni chiave e sulla distribuzione geografica dell’epidemia.Facendo il punto sullo stato dell’epidemia e dell’accesso alle terapie, il professor Salim Abdool Karim ha sottolineato come soltanto il 29% delle persone con HIV abbia attualmente accesso agli antiretrovirali e abbia raggiunto livelli di carica virale non rilevabili.Per porre fine all’AIDS, il professor Karim ha detto che bisogna ripartire dai 20 paesi dove si verifica l’80% di tutte le infezioni da HIV.Secondo il professore, la “fine dell’AIDS” resta per ora un’ambizione: un obiettivo più realistico nell’immediato è quello di riuscire a tenere sotto controllo l’epidemia, abbassando i tassi di mortalità a livelli accettabili in paesi dove l’HIV è ancora la principale causa di morte, e riducendo i tassi di trasmissione in modo che almeno non tutte le nuove infezioni portino a un’ulteriore propagazione del virus.Grazie agli attuali metodi di prevenzione biomedica questi obiettivi sono oggi realistici, ha detto Karim.Per raggiungerli, tuttavia, ci sarà bisogno di disporre di dati epidemiologici attendibili e di attuare metodi di prevenzione affidabili e mirati sulle popolazioni chiave. Per citare qualche esempio, l’HIV colpisce in maniera sproporzionata gli uomini che fanno sesso con altri uomini in qualunque regione del mondo; la prevalenza è altissima tra i/le sex workers; e ancora, le giovani donne dell’Africa sub-sahariana hanno una probabilità di contrarre l’infezione molto più alta dei loro coetanei che vivono nella stessa regione.L’intensificazione degli sforzi per prevenire e trattare l’HIV deve dunque andare di pari passo con iniziative mirate sui fattori strutturali che alimentano l’epidemia nelle popolazioni chiave, come stigma, barriere legali e disparità di genere.

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Resoconto completo su aidsmap.comSlide della presentazione del prof. Karim

Crisi economica associata con un aumento delle infezioni da HIV tra i consumatori di stupefacenti per via iniettiva in Europa

Georgios Nikolopoulos dell’Università di Atene durante il suo intervento ad AIDS 2014. Foto di Roger Pebody (aidsmap.com).Alla Conferenza di Melbourne sono state presentate prove evidenti che la recessione economica iniziata nel 2008 sia associata, in alcune aree d’Europa, a un sensibile aumento delle nuove infezioni da HIV tra i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva.Uno dei paesi più duramente colpiti dalla crisi è senz’altro la Grecia. Alcuni studiosi dell’Università di Atene hanno raccolto dati relativi a 30 paesi europei allo scopo di individuare un’associazione tra recessione economica e andamento delle nuove infezioni da HIV.Nello specifico, i ricercatori hanno preso in esame indicatori economici, politiche governative, erogazione di servizi e tassi di consumo di stupefacenti per via iniettiva.Dallo studio è emerso che nei paesi in recessione e in quelli con maggiori disparità di reddito era più probabile osservare aumenti delle nuove infezioni da HIV in questo gruppo di popolazione.I ricercatori non sanno ovviamente spiegare con certezza tutte le ragioni alla base di questo risultato, ma ipotizzano che esso sia imputabile, almeno in parte, al fatto che la crisi economica ha prodotto tagli drastici ai servizi e agli interventi di riduzione del danno.

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Resoconto completo su aidsmap.comAbstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza

Trattamento dei pazienti HIV-positivi con co-infezione da HCV

Jean-Michel Molina presenta di risultati di PHOTON-2. Foto di Liz Highleyman, hivandhepatitis.comSofosbuvir/ribavirinaUn regime completamente orale per il trattamento dell’infezione con il virus dell’epatite C (HCV) basato su una combinazione di sofosbuvir (Sovaldi) e ribavirina ha ottenuto tassi di risposta clinica dell’84-89% in pazienti coinfetti con HIV. Il trattamento prevede una durata di 24 settimane. A 12 settimane dal termine, gli autori dello studio PHOTON-2 hanno ottenuto nei pazienti trattati una risposta virologica sostenuta (SVR).Per lo studio sono stati reclutati 247 pazienti HIV-positivi con infezione da HCV cronica (di genotipo 1 [41%], 2 [9%], 3 [39%] e 4 [11%]). La maggior parte dei partecipanti (80%) non aveva mai assunto terapie anti-HCV in precedenza, e il 20% di loro presentava cirrosi epatica.Il regime terapeutico consisteva nella somministrazione monogiornaliera dell’inibitore della polimerasi dell’HCV (400mg) in combinazione con una dose di ribavirina in base al peso. Quasi tutti i partecipanti hanno assunto il trattamento per 24 settimane.A 12 settimane dal completamento del ciclo terapeutico, si sono registrati tassi di SVR compresi tra l’89% (per il genotipo 3) e l’84% (per il genotipo 4), mentre il tasso complessivo per i pazienti di genotipo 1 si è attestato all’85%.Il regime si è dimostrato sicuro e ben tollerato. Gli effetti collaterali più frequenti sono stati spossatezza, insonnia, mal di testa, nausea e diarrea.Separatamente sono stati pubblicati anche i risultati dello studio PHOTON-1, anch’esso su pazienti HIV-positivi con infezione cronica da HCV. Oltre la metà dei partecipanti presentava un’infezione di genotipo 1. Il tasso di SVR registrato a 12 settimane dal completamento della terapia si è attestato al 76%.Si tratta di dati notevoli rispetto a quelli osservati nel trattamento con interferone pegilato e ribavirina, ma meno impressionanti se paragonati ad altre combinazioni di farmaci a somministrazione completamente orale che hanno ottenuto tassi di risposta clinica anche del 90-100% nei pazienti coinfetti. Il vantaggio del regime a base di sofosbuvir/ribavirina, però, è che quest’ultima è un farmaco generico, il che consentirebbe un sensibile abbassamento dei costi.Regime 3D per pazienti con HCV di genotipo 1 Un regime combinato per il trattamento dell’infezione con il virus dell’epatite C (HCV) a somministrazione completamente orale ha ottenuto un tasso di risposta clinica del 94% in pazienti HIV-positivi con coinfezione da HCV di genotipo 1.Sono i risultati dello studio TURQUOISE-I, che ha valutato sicurezza ed efficacia del regime sperimentale di AbbVie basato su tre antivirali ad azione diretta (3D). Il regime consiste nella combinazione a dose fissa dell’inibitore della proteasi dell’HCV ABT-450, potenziato con 100 mg di ritonavir, in co-formulazione con l’inibitore dell’NS5A ombitasvir (noto anche come ABT-267), somministrata una volta al giorno, insieme all’inibitore non-nucleosidico della polimerasi dell’HCV dasabuvir (ABT-333) con 1000/1200 mg di ribavirina al giorno in base al peso, somministrato invece due volte al giorno.La maggior parte dei pazienti reclutati per lo studio presentava un’infezione da HCV di genotipo 1, notoriamente più difficile da trattare, e il 67% di loro assumeva per la prima volta il trattamento anti-HCV.I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere il trattamento per 12 o 24 settimane.A 12 settimane dal termine del ciclo terapeutico, nel braccio delle 12 settimane si è registrato un tasso di SVR del 94%; nel braccio delle 24 settimane, i dati intermedi mostrano che alla 12° settimana aveva ottenuto una SVR il 95% dei partecipanti.Nessuno dei partecipanti ha accusato gravi effetti collaterali o ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi. Tra gli effetti collaterali più comuni si segnalano spossatezza lieve o moderata, nausea e mal di testa.

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Resoconto completo sul sofosbuvir su aidsmap.comResoconto completo sul regime 3D su aidsmap.com

Circoncisione

La circoncisione medica è in grado di ridurre il rischio di acquisizione dell’HIV negli uomini. Nei paesi dell’Africa sub-sahariana con bassi tassi di circoncisione maschile sono in atto iniziative volte a promuovere questa pratica come misura di riduzione del rischio di contrarre l’infezione. Finora, soltanto due paesi (Kenya ed Etiopia) hanno superato il 50% del numero di adolescenti e uomini che si erano prefissati di raggiungere con i programmi di circoncisione; e soltanto altri tre (Sudafrica, Tanzania e Swaziland) hanno raggiunto tassi di circoncisione del 20-26%.Gli uomini più adulti partecipano meno a questo tipo di programmi, forse perché non possono permettersi di assentarsi dal lavoro per recarsi in clinica. È stato condotto uno studio randomizzato su un programma del Kenya che prevedeva la distribuzione di buoni per pasti e spostamenti per un valore equivalente a circa tre giorni di paga, da destinare a uomini di età compresa tra i 25 e 49 anni: ne è emerso che, offrendo buoni di valore più alto, aumentavano di quattro/sei volte le probabilità che gli uomini si sottoponessero all’operazione. Secondo il ricercatore Kawango Agot, il programma potrebbe consentire di abbassare i costi, e il governo keniota sta considerando di espanderlo per promuovere la circoncisione a livello nazionale.Un nuovo studio presentato ad AIDS 2014 ha evidenziato che negli uomini HIV-positivi sottoposti a circoncisione nell’ambito di un trial sulla profilassi pre-esposizione (PrEP) si registrava una sensibile riduzione nell’incidenza della sifilide. Lo stesso dicasi delle partner di uomini che erano stati circoncisi. L’incidenza della sifilide, tuttavia, non ha mostrato significative riduzioni negli uomini HIV-negativi.Un altro studio sulla circoncisione medica nell’Africa sub-sahariana presentato alla Conferenza non ha evidenziato alcuna prova conclusiva del fatto che la circoncisione possa essere associata a successivi cambiamenti del comportamento sessuale che potrebbero aumentare il rischio di contrarre l’HIV (la cosiddetta ‘compensazione del rischio’).

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Resoconto completo su aidsmap.comAbstract e slide delle presentazioni sul sito ufficiale della Conferenza

Tubercolosi, forse possibile accorciare i tempi del trattamento

Mel Spigelman e Dan Everitt durante il loro intervento ad AIDS 2014. Foto di Liz Highleyman, hivandhepatitis.comIl trattamento standard per la tubercolosi (TB) ha una durata di sei/otto mesi, mentre quello per la tubercolosi multifarmaco-resistente va assunto per minimo 18 mesi. I risultati di un trial clinico su un regime antitubercolare sperimentale fanno ora sperare che il trattamento possa essere ridotto a 4 mesi per i pazienti con TB farmacosensibile e a 6 mesi per quelli con TB farmacoresistente.Allo studio hanno partecipato 181 pazienti con TB farmacosensibile, randomizzati per ricevere una di due dosi di un regime denominato PaMZ, basato sull’antibiotico della categoria dei fluorochinoloni moxifloxacina (M) combinato con il nitroimidazolo Pa-824 (PA) e il pirazinamide (Z), oppure per assumere il trattamento antitubercolare standard. Il regime sperimentale è stato somministrato a 26 pazienti affetti da tubercolosi multifarmaco-resistente (MDR).Tutti i tre gruppi che hanno assunto il nuovo regime hanno mostrato riduzioni significative in vari marker dell’attività batterica ed avevano maggiori probabilità di avere esami colturali negativi dopo otto settimane di trattamento (71% vs 38% nel gruppo trattato con regime standard).Il PaMZ sarà adesso testato in un ampio trial di fase III, i cui risultati sono attesi per il 2017. In caso dovesse rivelarsi efficace, questo regime potrebbe consentire di abbassare i costi del trattamento della MDR del 90%.

Edited by silence® - 26/7/2014, 10:32
 
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silence®
view post Posted on 25/7/2014, 07:47     +1   -1




Martedi 22 luglio 2014

Quali strade verso una cura

La ricerca di una cura per l’HIV è uno dei temi centrali della XX Conferenza Internazionale sull’AIDS (AIDS 2014), dove sono state discusse varie strategie terapeutiche e le possibili future strade per la ricerca.Si sta prendendo coscienza del fatto che la somministrazione precoce di farmaci antiretroviralinon è sufficiente per giungere a una cura.Alla Conferenza sono stati riferiti gli ultimi sviluppi del caso della cosiddetta “bambina del Mississippi”: la piccola mostra di nuovo segni di replicazione dell’HIV nel sangue, dopo che per due anni il virus era rimasto irrilevabile senza bisogno di farmaci.I ricercatori sostengono però di aver comunque tratto preziosi insegnamenti da questo caso, soprattutto circa la necessità di migliorare i test attualmente disponibili per rilevare la presenza dell’HIV nell’organismo e di elaborare nuove strategie per eliminare i reservoir più ostinati di cellule infette.Alla Conferenza si è inoltre parlato dell’impiego di un farmaco antitumorale all’interno di una terapia volta a stimolare le cellule infette latenti per poi eliminarle con gli antiretrovirali (un tipo di strategia terapeutica ormai nota anche con il nome inglese di “kick and kill”).Ole Schmeltz Søgaard del Policlinico Universitario di Aarhus, in Danimarca, durante il suo intervento ad AIDS 2014. Foto: International AIDS Society/Steve ForrestUn’équipe di medici danesi ha presentato il caso di sei pazienti che assumevano la ART a lungo termine a cui è stato somministrato il chemioterapico romidepsin, un farmaco che sembra in grado di stanare e “risvegliare” le cellule dormienti, comprese quelle infettate dall’HIV.La strategia sembra, almeno in parte, aver raggiunto l’obiettivo; i ricercatori, tuttavia, sono dell’avviso che il trattamento non abbia avuto un impatto significativo sulle dimensioni del reservoir virale. Ciò nonostante, secondo il professor Steven Deeks questo studio ha il merito di dimostrare che è possibile individuare il reservoir nascosto e riattivarlo e rappresenta pertanto “il singolo, più importante passo avanti di questo convegno che avrà un’eco enorme sul futuro della ricerca”, come ha dichiarato in una conferenza stampa.Sembra dunque che né la somministrazione precoce di antiretrovirali né la stimolazione delle cellule dormienti consentano di giungere a una ‘cura funzionale’, ossia la soppressione dell’HIV senza l’aiuto degli antiretrovirali.Alla Conferenza sono stati presentati altri due approcci. Un’équipe di ricercatori australiani ha introdotto nelle cellule umane dei geni artificiali in grado di generare inibitori dell’ingresso virale: le cellule divengono così meno vulnerabili all’attacco dell’HIV. Un altro team australiano ha invece utilizzato frammenti genici per mantenere le cellule infette latenti in uno stato di blocco, resistenti anche a una forte stimolazione immunitaria, allo scopo di isolare il reservoir e riuscire comunque a tenere a bada l’HIV senza l’impiego di farmaci.In quale direzione muoversi adesso? Secondo le previsioni di un esperto presente alla Conferenza, la ricerca di una cura passerà attraverso lo sviluppo di vaccini terapeutici o immunoterapie.

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PREP, L'IMPORTANZA DELL'ADERENZA

L’efficacia della profilassi pre-esposizione (PrEP) dipende in larga misura dall’aderenza: è quanto emerge dai risultati di un’estensione dello studio iPrEx.Si tratta di un’estensione in aperto dello studio iPrEx, in cui sono stati messi a confronto i tassi di infezione tra individui che prendevano i farmaci e altri che invece sceglievano di non farlo, allo scopo di valutare l’efficacia della PrEP in soggetti consapevoli di assumerla.Per lo studio sono stati reclutati complessivamente 1225 tra uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) e donne transgender; un totale di 847 dei partecipanti hanno assunto i farmaci.Il follow up ha avuto una durata di 72 settimane, al termine delle quali la PrEP si è mostrata in grado di dimezzare il rischio di acquisizione dell’HIV.L’efficacia preventiva del trattamento, tuttavia, è risultata strettamente correlata all’aderenza.Non sono state rilevate diminuzioni significative del rischio di infezione nei partecipanti che hanno assunto meno di due dosi alla settimana, mentre in coloro che hanno assunto dalle due alle tre dosi settimanali il rischio si è ridotto dell’84%. Non è stata registrata nessuna nuova infezione in un sottogruppo che ha assunto quattro o più dosi settimanali, ma soltanto un terzo dei partecipanti è riuscito a mantenere un tale livello di aderenza.È emersa una stretta correlazione tra livello di aderenza ed età: le probabilità di trovare livelli rilevabili di farmaci nel sangue erano due o tre volte maggiori nei trenta- e quarantenni rispetto ai partecipanti più giovani.Gli autori hanno inoltre calcolato che solo il 39% dei partecipanti ad alto rischio continuava a prendere i farmaci in dosi sufficienti a proteggerli dall’HIV a tre mesi dall’inizio dello studio.Nel complesso, questi risultati attestano che il ricorso alla profilassi pre-esposizione è in grado di ridurre in maniera significativa il rischio di infezione nelle popolazioni ad alto rischio, ma l’aderenza è un fattore chiave per l’efficacia del trattamento; e un dato emerso dallo studio è che anche persone con un considerevole rischio di infezione spesso non sono sufficientemente motivate ad assumere la PrEP in modo corretto e costante.Alla Conferenza sono stati presentati anche i risultati di uno studio sull’uso intermittente della profilassi pre-esposizione in maschi omosessuali condotto in Francia e Quebec, Canada, da cui risulta che circa il 75-80% dei partecipanti hanno correttamente assunto la PrEP in occasione del loro ultimo rapporto sessuale. Si tratta dello studio denominato IPERGAY, che indaga l’efficacia della somministrazione della PrEP in un lasso di tempo mirato e circoscritto (una dose prima del rapporto e altre due rispettivamente 24 e 48 ore dopo). È una strategia volta a contenere i costi e a limitare l’assunzione non necessaria dei farmaci. L’uso intermittente di PrEP per i rapporti programmati può risultare più gestibile per alcune persone, ma la sua efficacia in termini di prevenzione non è appurata. I risultati definitivi dello studio sono attesi per la fine del 2016.In un nuovo documento orientativo pubblicato questo mese, l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda il ricorso alla PrEP come opzione preventiva complementare per tutti gli MSM sieronegativi ad alto rischio di infezione. Nel documento viene sottolineato che la PrEP deve far parte di un “pacchetto completo di servizi per la prevenzione” che comprenda anche l’offerta di preservativi e lubrificanti, di screening delle MST e presa in cura di coloro che risultano positivi, del test per l’HIV, di servizi di counseling e interventi mirati ai consumatori di sostanze nocive. L’OMS raccomanda inoltre che la PrEP venga offerta come misura di prevenzione aggiuntiva a tutti i partner sieronegativi in coppie sierodiscordanti.

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Tassi di mortalità per AIDS tra gli adolescenti

Foto UNICEF.Secondo i dati presentati alla Conferenza Internazionale sull’AIDS, si è registrato un incremento dei tassi di decessi AIDS-correlati tra gli adolescenti (15-19 anni), in particolare nei maschi.L’avvento della terapia antiretrovirale (ART) ha segnato una netta diminuzione di morbilità e mortalità correlate all’HIV.Tuttavia, un’analisi di dati provenienti dall’Africa sub-sahariana mostra adesso che la situazione sta effettivamente migliorando per i pazienti pediatrici e per gli adulti, ma anche che è in atto una recrudescenza della mortalità nella fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni.Tra il 2005 e il 2012, i tassi di mortalità AIDS-correlata tra gli adolescenti sono aumentati del 50%, dimostrandosi particolarmente elevati tra i maschi: nella regione sub-sahariana, infatti, il loro rischio di morte è risultato doppio rispetto a quello delle ragazze, e in Sudafrica addirittura triplo.Sono dati allarmanti, che denunciano le enormi difficoltà della transizione dalle cure pediatriche ai servizi per adulti ed evidenziano il bisogno di dare priorità alle esigenze degli adolescenti nell’ambito dei programmi contro l’HIV/AIDS.

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Combattere la povertà per ridurre il rischio HIV negli adolescenti

La dott.ssa Lucie Cluver dell’Università di Oxford. Foto www.novartisfoundation.org.Da uno studio condotto in Sudafrica emerge che una combinazione di interventi come l’offerta di aiuti in contanti, di pasti nelle scuole e di sostegno psicosociale può dimezzare il rischio di contrarre l’infezione da HIV negli adolescenti.Numerosi studi comprovano la correlazione tra povertà e aumento del rischio HIV per gli adolescenti.Un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford ha dunque deciso di verificare se l’attuazione di interventi contro la povertà possa determinare un calo dei comportamenti a rischio.A questo scopo gli studiosi hanno condotto uno studio su 3515 giovani di età compresa tra i 10 e i 18 anni e di ambo i sessi, che vivono in una regione ad elevatissima prevalenza di HIV (circa il 30%).I dati relativi ai comportamenti a rischio (dai rapporti sessuali non protetti, a pagamento, con partner più grandi o con partner multipli fino al sesso sotto l’effetto di stupefacenti e alle gravidanze in età adolescenziale) sono stati incrociati con l’esposizione dei ragazzi a misure di protezione sociale come l’offerta di contanti, di mense scolastiche e trasporti gratuiti e di sostegno psicosociale.Ne è emerso che quando i sussidi in contanti sono abbinati ad altre forme di sostegno si assiste a una diminuzione del rischio di contrarre l’HIV pari a circa il 50%.Gli autori sono dunque convinti che fornire agli adolescenti l’accesso a programmi “cash plus care” (“contanti più cure”) possa rivelarsi una strategia tanto realistica quanto vincente per la prevenzione dell’HIV nell’Africa sub-sahariana.

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Criminalizzazione del sesso tra uomini deleteria per la salute pubblica

Ifeanyi Orazulike, dell’International Center for Advocacy on Rights to Health, durante il suo intervento ad AIDS 2014. Foto di Roger Pebody (aidsmap.com).Un’indagine internet globale su 4000 uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) rivela che un partecipante su 12 è stato arrestato o condannato per reati legati all’omosessualità, e che chi viene criminalizzato ha minore accesso ai servizi sanitari.Lo studio, condotto nel 2012, ha riscontrato che il 24% degli intervistati dell’Africa sub-sahariana erano stati arrestati o condannati per via del loro orientamento sessuale.Chi veniva arrestato o condannato aveva meno probabilità di accedere a preservativi, test e trattamento per le infezioni sessualmente trasmesse, test per l’HIV, cure mediche e servizi per la salute mentale.Negli uomini HIV-positivi, l’arresto o la condanna risultava associato con tassi inferiori di accesso alla terapia antiretrovirale.All’inizio del 2014, in Nigeria è stata approvata una dura legislazione anti-gay. Alla Conferenza è stato riferito che queste nuove leggi stanno già ostacolando il reclutamento di partecipanti per uno studio sulla salute e il comportamento degli MSM nel paese, e che ci sono stati arresti di operatori sociali attivi sul territorio.Secondo una dichiarazione dell’OMS rilasciata alla Conferenza, la tutela dei diritti umani è cruciale per tenere a bada l’epidemia da HIV. L’organizzazione raccomanda che:i Paesi si attivino per promulgare e attuare leggi anti-discriminazione;siano ovunque disponibili servizi sanitari accessibili e accettabili per gli MSM;si affronti e si combatta il problema della violenza contro gli MSM e si offrano programmi a sostegno di questa popolazione.

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PEP, bassi tassi di completamento dei cicli terapeutici

Percentuali di abbandono della PEP nelle varie fasi. Diagramma tratto dal poster di presentazione di Nathan Ford (TUPE153).Solo il 50% circa delle persone che iniziano un ciclo di PEP (profilassi post-esposizione) portano a termine il trattamento: è quanto emerge da una meta-analisi di 97 studi separati che hanno complessivamente coinvolto oltre 21.000 persone.La PEP consiste in un ciclo di trattamento della durata di 28 giorni con uno o più antiretrovirali che vengono somministrati a individui sieronegativi dopo una possibile esposizione al virus dell’HIV.L’intento dei ricercatori era determinare la percentuale di persone che portava effettivamente a termine il trattamento.Dai risultati emerge che da fase a fase c’è un progressivo abbandono del trattamento, con sbalzi marcati in alcuni passaggi. Complessivamente, infatti:il 14% delle persone considerate eleggibili per la PEP non hanno mai neppure iniziato il trattamento;solo il 57% di chi l’ha iniziato l’ha poi portato a termine;tra coloro che l’hanno portato a termine, il 31% non si è presentato alla visita di follow-up che prevede, tra l’altro, di effettuare il test per l’HIV.I tassi di completamento sono risultati particolarmente bassi tra le sex worker e tra coloro che avevano fatto ricorso alla PEP a seguito di una violenza sessuale.Secondo i ricercatori c’è ancora molto da fare per aumentare il ricorso alla PEP e migliorare i tassi di ritenzione in cura; inoltre sarebbe opportuno semplificare gli approcci terapeutici.

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Mercoledì 23 luglio 2014

Contenuti

Inadeguato l’investimento nella riduzione del danno per gli IDUCounseling di coppia per aumentare l’efficacia della TasP'Test a tappeto' altamente accettato nel Sudafrica ruraleCriminalizzazione del sesso tra uomini deleteria per la salute pubblicaPEP, bassi tassi di completamento dei cicli terapeuticiCarcinoma anale, notizie incoraggianti per i maschi omosessualiTrattamento dell’HIV, maraviroc non all’altezza del backbone NRTITubercolosi, accelerare diagnosi e trattamentoSostieni NAM

Inadeguato l’investimento nella riduzione del danno per gli IDU

Un’immagine del rapporto The funding crisis for harm reduction.L’investimento internazionale nella riduzione del danno per i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva (IDU) è spaventosamente inadeguato, si è appreso alla Conferenza di Melbourne.Ai delegati è stato riferito che gli stanziamenti coprono attualmente solo il 7% di quanto sarebbe necessario per attuare interventi così importanti per una popolazione estremamente vulnerabile all’HIV e alle epatiti virali.Un’indagine internazionale ha rilevato che nel 2010 la somma destinata alla riduzione del danno è stata di 160 milioni di dollari statunitensi, vale a dire una piccolissima parte di quei 2,3 miliardi che servirebbero per fornire una copertura adeguata.Tra gli elementi fondamentali degli interventi di riduzione del danno per gli IDU si possono annoverare i programmi di scambio di siringhe, la terapia sostitutiva degli oppiacei, l’offerta di test e counseling per l’HIV e di terapia antiretrovirale, la distribuzione di preservativi, l’accesso a diagnosi e trattamento delle MST, delle epatiti virali e della tubercolosi.Eppure in 71 paesi al mondo non esistono programmi per lo scambio di siringhe, e in ben 81 non viene offerta la terapia sostitutiva.I dati sembrerebbero addirittura indicare che il finanziamento dei programmi di riduzione del danno sia progressivamente calato a partire dal 2010.Secondo Sir Richard Branson, membro della Commissione Globale per le politiche sulle droghe, si passa troppo tempo a mettere in prigione chi fa uso di stupefacenti, sprecando risorse che sarebbero meglio spese in interventi per l’educazione e nell’offerta di trattamento.Dalla Conferenza giunge un appello affinché l’investimento sulla riduzione del danno arrivi al 10% delle spese totali per le politiche antidroga entro il 2016.

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Resoconto completo su aidsmap.comScarica il rapporto sulla crisi dei finanziamenti alla riduzione del danno dal sito di Harm Reduction International



'Test a tappeto' altamente accettato nel Sudafrica rurale

L’autore principale dello studio, Francois Dabis, ad AIDS 2014. Foto di Gus Cairns (aidsmap.com).In uno studio in cui sono stati offerti a tappeto test e trattamento dell’HIV agli abitanti della provincia rurale del KwaZulu Natal è risultato che la popolazione locale accettava di buon grado il servizio che offriva di fare il test a domicilio; tuttavia, chi risultava positivo impiegava più tempo del previsto a iniziare il trattamento. Lo studio, denominato ANRS 12249, è uno dei vari trial in corso nell’Africa meridionale mirati a verificare l’ipotesi che i programmi di ‘test-and-treat’ universale possano, da soli, abbattere l’incidenza dell’HIV in modo sufficiente a porre fine all’epidemia.Nella fase pilota è stato rilevato che l’82% delle persone a cui veniva offerto di eseguire il test per l’HIV a casa accettava di farlo, un dato paragonabile a quello ottenuto da studi simili in altre parti dell’Africa. Il numero di persone che si rivolgevano alla clinica locale e intraprendevano il trattamento è invece stato inferiore al previsto: nel giro di un anno, hanno iniziato la terapia circa la metà di coloro che erano risultati positivi al test. Tuttavia, il linkage to care (‘aggancio ai trattamenti’) sembra svolgere un ruolo importante, dacché l’85% delle persone che hanno ricevuto il trattamento immediato poi iniziava la terapia nel giro di un anno.Questi dati sembrano indicare che i meccanismi di aggancio al sistema sanitario rappresenteranno un elemento chiave per il successo delle strategie di ‘test-and-treat’ per ampliare prevenzione e trattamento dell’HIV.

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Resoconto completo su aidsmap.comAbstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza

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Criminalizzazione del sesso tra uomini deleteria per la salute pubblica

Ifeanyi Orazulike, dell’International Center for Advocacy on Rights to Health, durante il suo intervento ad AIDS 2014. Foto di Roger Pebody (aidsmap.com).Un’indagine internet globale su 4000 uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM) rivela che un partecipante su 12 è stato arrestato o condannato per reati legati all’omosessualità, e che chi viene criminalizzato ha minore accesso ai servizi sanitari.Lo studio, condotto nel 2012, ha riscontrato che il 24% degli intervistati dell’Africa sub-sahariana erano stati arrestati o condannati per via del loro orientamento sessuale.Chi veniva arrestato o condannato aveva meno probabilità di accedere a preservativi, test e trattamento per le infezioni sessualmente trasmesse, test per l’HIV, cure mediche e servizi per la salute mentale.Negli uomini HIV-positivi, l’arresto o la condanna risultava associato con tassi inferiori di accesso alla terapia antiretrovirale.All’inizio del 2014, in Nigeria è stata approvata una dura legislazione anti-gay. Alla Conferenza è stato riferito che queste nuove leggi stanno già ostacolando il reclutamento di partecipanti per uno studio sulla salute e il comportamento degli MSM nel paese, e che ci sono stati arresti di operatori sociali attivi sul territorio.Secondo una dichiarazione dell’OMS rilasciata alla Conferenza, la tutela dei diritti umani è cruciale per tenere a bada l’epidemia da HIV. L’organizzazione raccomanda che:i Paesi si attivino per promulgare e attuare leggi anti-discriminazione;siano ovunque disponibili servizi sanitari accessibili e accettabili per gli MSM;si affronti e si combatta il problema della violenza contro gli MSM e si offrano programmi a sostegno di questa popolazione.

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Resoconto completo su aidsmap.comAbstract di questa sessione sul sito ufficiale della Conferenza

PEP, bassi tassi di completamento dei cicli terapeutici

Percentuali di abbandono della PEP nelle varie fasi. Diagramma tratto dal poster di presentazione di Nathan Ford (TUPE153).Solo il 50% circa delle persone che iniziano un ciclo di PEP (profilassi post-esposizione) portano a termine il trattamento: è quanto emerge da una meta-analisi di 97 studi separati che hanno complessivamente coinvolto oltre 21.000 persone.La PEP consiste in un ciclo di trattamento della durata di 28 giorni con uno o più antiretrovirali che vengono somministrati a individui sieronegativi dopo una possibile esposizione al virus dell’HIV.L’intento dei ricercatori era determinare la percentuale di persone che portava effettivamente a termine il trattamento.Dai risultati emerge che da fase a fase c’è un progressivo abbandono del trattamento, con sbalzi marcati in alcuni passaggi. Complessivamente, infatti:il 14% delle persone considerate eleggibili per la PEP non hanno mai neppure iniziato il trattamento;solo il 57% di chi l’ha iniziato l’ha poi portato a termine;tra coloro che l’hanno portato a termine, il 31% non si è presentato alla visita di follow-up che prevede, tra l’altro, di effettuare il test per l’HIV.I tassi di completamento sono risultati particolarmente bassi tra le sex worker e tra coloro che avevano fatto ricorso alla PEP a seguito di una violenza sessuale.Secondo i ricercatori c’è ancora molto da fare per aumentare il ricorso alla PEP e migliorare i tassi di ritenzione in cura; inoltre sarebbe opportuno semplificare gli approcci terapeutici.

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Carcinoma anale, notizie incoraggianti per i maschi omosessuali

Andrew Grulich del Kirby Institute, Università del New South Wales, durante il suo intervento ad AIDS 2014. Foto di Liz Highleyman, hivandhepatitis.comDai primi risultati di uno studio australiano pare che potrebbe non essere necessario sottoporre a trattamento tutti i maschi omosessuali HIV-positivi che presentano lesioni in grado di progredire in carcinoma anale. Nella maggior parte dei casi, infatti, le lesioni scompaiono spontaneamente, e un attento monitoraggio può essere più efficace e meno invasivo del trattamento farmacologico o di un intervento chirurgico.Il carcinoma anale e i suoi precursori, la displasia e la neoplasia (anomala crescita cellulare e alterazioni dei tessuti), sono più frequenti nei pazienti HIV-positivi – soprattutto negli MSM – rispetto al resto della popolazione.In Australia è in corso uno studio su maschi omosessuali con e senza HIV mirato a stabilire la percentuale di uomini con displasia o neoplasia anale sviluppa poi il carcinoma. I risultati intermedi mostrano che le anomalie sono scomparse spontaneamente in quasi metà dei partecipanti, senza differenze in base all’età o allo stato sierologico.Questi risultati “rappresentano una prova convincente del fatto che non tutte le affezioni gravi della regione anale richiedano un intervento terapeutico e che pertanto il trattamento possa essere riservato a chi presenta lesioni molto persistenti”, ha commentato il dott. Andrew Grulich del Kirby Institute, Università del New South Wales. La maggior parte delle lesioni evidenziate da un singolo esame diagnostico “guariranno da sole”, ha aggiunto lo studioso.

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Trattamento dell’HIV, maraviroc non all’altezza del backbone NRTI

Un regime antiretrovirale in cui gli NRTI sono stati sostituiti dall’inibitore del co-recettore CCR5maraviroc (Celsentri) si è dimostrato meno efficace della terapia standard con emtricitabina e tenofovir (combinati nel Truvada), come dimostra un nuovo studio.La terapia dell’HIV consta generalmente di una combinazione di tre farmaci di tre diverse classi. I farmaci di ‘backbone’ (o di accompagnamento) sono nella maggior parte dei casi due inibitori nucleosidici o nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI). Gli NRTI sono tuttavia associati a molti degli effetti collaterali causati dal trattamento a lungo termine.Per questo un gruppo di ricercatori ha deciso di sperimentare la sostituzione degli NRTI con il maraviroc, un farmaco appartenente alla classe degli inibitori del co-recettore CCR5.Il maraviroc si è dimostrato buono sotto il profilo della sicurezza e ben tollerato in termini di effetti collaterali; inoltre ha una buona capacità di penetrazione nel tratto genitale, il che significa che il suo impiego potrebbe contribuire a prevenire la trasmissione del virus.Lo studio ha preso in considerazione pazienti che iniziavano per la prima volta il trattamento dell’HIV, che sono stati randomizzati per ricevere o il maraviroc o il Truvada in combinazione condarunavir potenziato con ritonavir (Prezista). Tutti i partecipanti (circa 800 in tutto) presentavano un ceppo di HIV sensibile al maraviroc.La sperimentazione doveva durare 96 settimane, e aveva come endpoint primario la percentuale di pazienti con carica virale non rilevabile alla 48° settimana.Arrivati a questo primo giro di boa, solo il 77% dei pazienti trattati con maraviroc aveva abbattuto la carica virale sotto la soglia di rilevabilità, contro l’87% di quelli trattati con Truvada. Il maraviroc ha conseguito i risultati più deludenti nei pazienti con cariche virali molto elevate (al di sopra delle 100.000 copie/ml).Lo studio è stato dunque interrotto, perché il maraviroc non si era dimostrato non-inferiore rispetto al Truvada.Il maraviroc resta comunque un possibile sostituto di un NRTI di backbone, per esempio per i pazienti che optano per uno switch terapeutico dopo aver ottenuto la soppressione della carica virale con la tradizionale terapia a base di NRTI.

Edited by silence® - 26/7/2014, 11:13
 
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silence®
view post Posted on 26/7/2014, 10:23     +1   -1




Giovedì 24 luglio 2014

Contraccezione e rischio HIV: nuovi studi confermano che i contraccettivi iniettabili aumentano il rischio HIV per le donne


Nella giornata di giovedì alla XX Conferenza Internazionale sull’AIDS è stata presentata una sofisticata meta-analisi basata su dati individuali di 37.000 donne, da cui emerge una correlazione tra l’uso del contracettivo ormonale iniettabile DMPA e un aumento dei nuovi casi di HIV nelle donne. Nel corso della stessa sessione, tuttavia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annunciato che la linea guida a sostegno dell’erogazione di questo tipo di contraccettivi alle donne a rischio di HIV per ora resterà inalterata.

Le evidenze scientifiche sulla contraccezione con preparati iniettabili non sono univoche. Ci sono singoli studi secondo cui essa aumenterebbe il rischio per le donne di contrarre l’infezione da HIV, ma l’analisi combinata di dati provenienti da diversi studi non ha evidenziato alcun aumento del rischio.

Per lo studio presentato ad AIDS 2014 sono stati raccolti i dati di 18 studi condotti nell’Africa meridionale ed orientale, allo scopo di analizzare il rischio di infezione con l’HIV in rapporto all’uso di contraccettivi.

Dalla meta-analisi è emerso che le donne che utilizzavano il medrossiprogesterone acetato depot (DMPA, Depo Provera) o il noretisterone enantato (NET-En, Noristerat), entrambi contraccettivi iniettabili, avevano un rischio di infezione maggiore di circa il 50% rispetto a quelle che non ricorrevano ad alcun tipo di contraccezione, oltre che considerevolmente più elevato rispetto a chi usava un contraccettivo orale.

La linea guida OMS è stata elaborata in seguito a una sistematica revisione delle evidenze disponibili, ma è antecedente all’analisi presentata oggi.

In essa si legge: “Le donne ad elevato rischio di HIV devono essere informate che i contraccettivi iniettabili a base di solo progestinico potrebbero aumentare il loro rischio di contrarre l’infezione. Le donne e le coppie ad elevato rischio che intendano fare ricorso a tali contraccettivi devono anche ricevere informazioni sulle misure di prevenzione dell’HIV, compresi i preservativi maschili e femminili, ed avere accesso ad esse.”

Quanto agli altri metodi di contraccezione ormonale, nella linea guida OMS non sono raccomandate restrizioni per le donne a rischio di HIV o HIV-positive. In linea generale possono essere utilizzati anche i dispositivi intrauterini a rilascio di progestinico, sebbene sia sconsigliato farvi ricorso in presenza di una malattia HIV-correlata grave o in stadio avanzato
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Gli eterosessuali che iniziano la ART non abbandonano l’uso del preservativo

Una meta-analisi di tutti gli studi che hanno indagato il comportamento sessuale di chi inizia il trattamento antiretrovirale non ha individuato neppure un singolo caso della cosiddetta “compensazione del rischio”, ossia l’idea che l’assunzione dei farmaci spingerebbe gli individui ad abbassare la guardia sulla trasmissione e a tornare ad condurre comportamenti a rischio.

La “compensazione del rischio” (detta anche “disinibizione”) è un fenomeno da tempo temuto dagli scienziati come dai decisori politici, e spesso additato come uno dei rischi dell’espansione della ART.

Dal National Institute of Mental Health degli Stati Uniti arriva adesso una revisione di 15 studi condotti a partire dai primi anni ’90 sull’impiego del preservativo dopo l’inizio del trattamento in una popolazione di uomini e donne eterosessuali nell’Africa sub-sahariana.

Dai risultati è emerso che, in ambo i sessi e con qualsiasi tipo di partner, chi assumeva antiretrovirali utilizzava il preservativo complessivamente l’80% di volte in più rispetto chi non lo assumeva. Nelle donne in trattamento il ricorso al preservativo raddoppiava, e negli uomini aumentava del 50%.

La correlazione risultava ancora più marcata quando l’indagine si concentrava su particolari tipi di partner: nei quattro studi focalizzati specificatamente sul sesso con partner di stato sierologico opposto o sconosciuto è stato rilevato che l’uso del preservativo da parte degli individui in trattamento era del 160% maggiore; e aumentava ancora del 160% (sebbene con livelli di partenza molto inferiori) nel sesso con coniugi o partner regolari.

“Sono dati che incoraggiano la continua espansione della ART nei paesi a basso e medio reddito”, ha commentato Caitlin Kennedy presentando la ricerca.

Secondo la dott.ssa Kennedy, anziché generare incauto ottimismo e false sicurezze, la terapia può condurre a un’effettiva riduzione dei comportamenti a rischio HIV, da un lato perché implica regolari visite mediche e offre la possibilità di usufruire del counseling, e dall’altro perché instilla nel paziente una rinnovata speranza per il futuro e un senso di controllo delle proprie azioni e dei loro effetti sul mondo.

“Abbiamo ragione di pensare che l’espressione ‘terapia come prevenzione’ possa essere vera in più di un senso”, ha aggiunto la studiosa.

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Cresce oltre le previsioni il numero delle persone in trattamento

Siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo del “15 entro il ‘15”: fornire l’accesso alle cure antiretrovirali a 15 milioni di persone entro il 2015. Anzi, probabilmente questa quota verrà superata, a giudicare dai dati presentati mercoledì alla Conferenza. Da qui al 2016 si stima che saranno 16,8 le persone che assumeranno il trattamento antiretrovirale.

Alla Conferenza è stato inoltre presentato un esercizio di previsione a cura della Clinton Health Access Initiative, in cui sono stati esaminati i costi dell’espansione di trattamento e prevenzione sulla base delle linee guida OMS del 2013, che raccomandano di trattare tutti i pazienti adulti con conte dei CD4 inferiori alle 500 cellule/mm3 e di trattare tutte le donne in gravidanza a vita.

Lo studio ha rilevato che in Zambia, Ruanda e Swaziland i costi di trattamento e cure, test, pre-trattamento, circoncisione maschile e distribuzione di preservativi, per raggiungere l’accesso universale entro il 2020 come auspicato dalle linee guida OMS del 2013, ammonteranno a meno del 60% delle risorse che si prevede di allocare in media.

I costi sono invece risultati superiori alle proiezioni nel Malawi, nella misura del 50% in più rispetto agli stanziamenti destinati alla sanità. Ci sarà dunque bisogno di un sostanzioso aiuto finanziario per far raggiungere al paese l’obiettivo dell’accesso universale entro il 2020.

Il costo incrementale dell’accesso universale come prospettato dall’OMS nel 2013, in paragone alla precedente linea guida del 2010, varia dal 5% dello Swaziland al 21% del Malawi. Sono numeri che tengono già conto dei cambiamenti che sarà necessario apportare ai modelli di cura per trattare un crescente numero di persone con bisogni meno complessi, per esempio il task-shifting (‘delega di competenze’) e la prescrizione di farmaci con molti mesi di anticipo in alcuni contesti

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Dolutegravir altamente efficace anche in presenza di farmacoresistenze

Il nuovo inibitore dell’integrasi dolutegravir si è dimostrato altamente efficace sia in pazienti mai trattati in precedenza che in pazienti già sottoposti a trattamento che avevano sviluppato una resistenza ad altri farmaci. Inoltre, nessuno dei pazienti mai trattati sviluppava una resistenza al dolutegravir nel corso di quasi due anni di follow up, come è risultato da un’analisi degli studi per la registrazione di questo farmaco presentata giovedì alla Conferenza.

Il dolutegravir (Tivicay) è un inibitore dell’integrasi a monosomministrazione giornaliera sviluppato da ViiV Healthcare. Una nuova compressa tricombinata con dolutegravir, abacavir e lamivudina potrebbe già essere autorizzata all’immissione sul mercato europeo e statunitense verso la fine di quest’anno.

Il dolutegravir è inoltre già stato concesso in licenza alla fondazione Medicines Patent Pool in due modalità: senza pagamento di royalty per i paesi in via di sviluppo e per tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana; e dietro pagamento di una percentuale sulle royalty nei paesi a medio reddito. Il farmaco ha tutto il potenziale per diventare un’importante opzione per il trattamento di prima o seconda linea per adulti e bambini in un’ampia varietà di contesti.
 
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magic-j
view post Posted on 7/11/2014, 17:02     +1   -1




Ciao Silence,
ti seguo da tanto tempo ed apprezzo tantissimo le tue discussioni. Sono S+ dal 2011 e sono in terapia da subito. Prima con Reyataz+Truvada+Norvir e poi con Eviplera, grazie sopratutto a te ed ai tuoi post. ;)
Ora ho una domanda da farti. Al momento della scoperta la mia carica virale era intorno alle 75000 copie ed i CD4 erano 280.
La viremia della mia compagna era intorno alle 11000 copie ed i suoi CD4 erano 174. Inoltre io ho anche HBV e lei no.
Ora, visto che tutti e due abbiamo avuto le abitudini abbastanza promiscue, si pone la domanda: " chi e stato l'untore? Si può stabilire e con quale certezza chi ha contagiato l'altro?
Per me, ma anche per lei sarebbe importantissimo sapere questo fatto.
Ti ringrazio anticipatamente e ti saluto cordialmente.

Magic-j,
 
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*Loris*
view post Posted on 8/11/2014, 10:43     +1   -1




Ciao Magic, credo che non sia possibile rispondere alla tua domanda. Innanzitutto una precisazione: i valori di viremia e di CD4 che riporti, tanto nel tuo caso che in quello della tua compagna, fanno ipotizzare che l'infezione non fosse recente. Ognuno di noi ha un sistema immunitario che risponde con modalità e tempi differenti, ma a meno che sia te che la tua compagna non siate dei rapid progressor, l'infezione per entrambi risale ad "un po' di tempo prima". Quanto sia questo tempo si può solo ipotizzarlo ... 2 - 3 .... anche 8 anni. Solo nei primi 100 GIORNI dal contagio si possono avere "prove" sui tempi dell'infezione attraverso marker virali ed immunologici tipici dell'instaurarsi dell'infezione. E' la fase acuta della sieroconversione, puoi trovare notizie e grafici su questa fase facilmente. Dopo i primi 100 giorni si va nella fase cronica che può durare anche 6-8 anni (in alcuni casi anche molto di più) prima di arrivare alla fase di AIDS o pre AIDS. I valori di CD4 intorno a 200 che tu riporti, sono indicativi di questa soglia: fase cronica - fase di AIDS o pre AIDS.
C'è un altro aspetto della tua domanda che personalmente mi è molto "antipatico". Già chiedersi "chi ha infettato chi?" lascia il tempo che trova e non cambia la realtà delle cose. Chiedersi poi chi sia "l'untore" mi suona da caccia alle streghe: credo per il vostro bene che sia passato il tempo per farlo, in ogni caso NON si può stabilirlo, nè solo ipotizzarlo.
Lascia perdere e, se accetti un consiglio, vivi la vita senza questa domanda. Buona vita.
 
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silence®
view post Posted on 11/11/2014, 11:43     +1   -1




Ciao Magic, piacere di conoscerti. Sono d'accordo con quanto scritto da Loris, non è possibile stabilire chi ha contagiato chi, neanche con la verifica dello stesso ceppo. Per la dottrina i vostri valori denotano una infezione non recente ma la pratica ha poi dimostrato che neanche questo è vero per tutti perché ognuno di noi ha un sistema immunitario diverso e nel vostro caso, il fatto che tu abbia Hbv e lei no, lo testimonia alla grande.
L'unica sarebbe avere un test "0" fatto al max tre mesi prima del successivo risultato poi positivo. Per il resto direi che ormai conta anche poco scoprirlo. Un bacio.
 
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magic-j
view post Posted on 11/11/2014, 19:29     +1   -1




Grazie Loris, la tua risposta è stata molto esaustiva e mi ha confermato quello che in grosso modo sapevo già.
Del resto, vivo la mia vita serenamente e con tranquillità. La mia domanda era dovuta al fatto che lei qualche tempo fa aveva ventilato un ipotesi di una richiesta di risarcimento per danni biologici. Non credeva neanche lei stessa alla battuta che aveva fatto, ma sapere una cosa in più non guasta mai.
In quanto la terminologia medievale, è solo una dose di sana autoironia.
Grazie anche a Silence , è sempre la n°1 :)

Magic-j
 
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6 replies since 23/7/2014, 11:21   369 views
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